Regina (Cassolo Bracchi): l’aeroplastica che ha liberato la scultura italiana

di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)

Regina Cassolo Bracchi, semplicemente Regina (1894–1974), nasce a Mede Lomellina – pianura di risaie e nebbie, non Parigi – e proprio da lì compie una delle operazioni più radicali della nostra scultura: spoglia il volume, lo rende aria organizzata, lo costruisce con lamine d’alluminio, latta, celluloide. È la sola grande scultrice italiana che negli anni Trenta, dentro e contro il Futurismo, inventa un modo nuovo di occupare lo spazio.

Dalla tradizione alla “sfogliatura” del metallo

Gli anni Venti la vedono esercitarsi in marmo e gesso: teste, figure, bassorilievi. Ma già lì serpeggia l’essenziale: semplificazione, taglio netto, voglia di eliminare il superfluo. A Milano, nei primi Trenta, il passaggio: l’alluminio, la latta, la celluloide diventano vocabolario. Non è un feticismo del materiale povero; è tecnica cognitiva. Regina inventa un procedimento fatto di cartamodelli, ritagli, incastri e ribattiture; “sfoglia” il metallo, lo piega, lo imbotte: la figura non è più massa scolpita, ma pelle intelligente.
Nascono le Danzatrici, le Aerosensibilità, le signore provinciali, i ritratti in lamina: figure leggere e tuttavia ferree, icone laiche di un’Italia che scopre – a modo suo – il design.

Futurismo, sì; ma da protagonista e a modo suo

Nel 1933 Regina entra ufficialmente nel Futurismo (mostra “Omaggio a Boccioni”, Galleria Pesaro). Poco dopo partecipa a mostre d’aeroplastica e alle Biennali degli anni Trenta. Ma non è una comprimaria: porta nel movimento un gesto non retorico. L’aeroplastica, nelle sue mani, non è celebrazione del volo o del regime; è architettura di leggerezza. La velocità c’è – nella linea – ma non è propaganda: è funzione.
L’invenzione è soprattutto spaziale: la lamine si intersecano, proiettano ombre vive, generano volume per sottrazione. La scultura smette di essere blocco; diventa organismo ventilato.

Dal dopoguerra al MAC: la concretezza dell’astrazione

Gli anni Cinquanta la collegano al Movimento Arte Concreta: cemento, fili metallici, plexiglas e plastiche leggere. È il completamento dell’operazione: astrazione non evasiva, che pensa la forma come procedura. Nascono pannelli e strutture modulari, aperture e piramidi, scansioni ritmiche; il colore si restringe, comanda il chiaroscuro fisico delle lamine.
Regina guarda avanti senza strappare il filo con gli anni Trenta: l’economia del mezzo, la precisione “meccanica”, il senso costruttivo restano i suoi dogmi. Non sorprende che oggi la ricerca internazionale la riconosca come antenata dell’estetica post-industriale e della scultura parametrica: è la logica del fare, prima ancora del risultato.

Una donna in officina

C’è anche un fatto culturale: Regina è donna in un cantiere dominato da uomini. Non gioca la carta dell’eccezione; porta in dote una disciplina: pochi mezzi, massima resa, nessuna concessione al pittoresco. È un femminile ingegneristico, che oggi parla più di molte retoriche identitarie: competenza, rigore, invenzione.
La sua Casa Museo a Mede, con archivio e opere, dice quanto questa storia sia territoriale e insieme europea: la Lomellina non come provincia, ma come officina.

Come si riconosce una Regina (e come si valuta)

  • Tecnica: lamine di alluminio o latta sottili, tagliate a modello, piegate e ribattute con giunzioni visibili; negli anni Cinquanta compaiono cemento, fili metallici, plastiche. Cercare tracce d’officina (fori, micro-graffi da piegatura) e incastri intelligenti; diffidare di lamierini generici senza progetto.

  • Disegno e progetto: esistono cartamodelli e studi su carta; la coerenza tra progetto e oggetto è cruciale.

  • Cronologia: lavori futuristi primi Trenta (figure, ballerine, ritratti), aeroplastiche centrali, poi astrazioni e moduli concreti; incastri anacronistici sono campanelli d’allarme.

  • Provenienze: mostre storiche (Milano, Biennali, Quadriennali), archivi di studio, Casa Museo; attenzione a ricostruzioni “creative”.

  • Conservazione: lamine sottili = vulnerabilità; ammaccature e ribattiture rifatte alterano l’opera. Patine non uniformi sono spesso coeve; lucidature eccessive snaturano.

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