Mattia Moreni: cinque mostre in Romagna per capire l’Italia che cambia

di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)

Non capita spesso che un territorio si dia il lusso – e la responsabilità – di leggere un artista in cinque capitoli. È quello che accade in Romagna con Mattia Moreni (1920–1999): un progetto diffuso che attraversa Bagnacavallo, Forlì, Santa Sofia, Ravenna e Bologna, e che non si limita a esporre quadri, ma li usa come strumenti diagnostici per comprendere le nostre trasformazioni economiche, sociali, perfino antropologiche. Moreni, l’“irrequieto” del secondo dopoguerra, l’uomo delle Angurie, dei Cartelli, della Regressione della specie e dell’Umanoide, torna a casa – in Romagna – dove ha scelto di vivere e morire. E torna con un linguaggio che non ha perso i denti: graffia ancora. (Fonti istituzionali su sedi, date e articolazione del progetto confermano un percorso in cinque tappe, da settembre 2025 a inizio 2026, con curatele dedicate a ciascun nucleo tematico.)

Capitolo 1. Bagnacavallo – “Dagli esordi ai cartelli”: come nasce una grammatica dell’urto

La prima tappa – all’ex Convento di San Francesco – ricostruisce i primi vent’anni: dal tirocinio torinese alla disciplina di bottega, fino al passaggio nell’Informale. Qui si vede nascere la sua pennellata-arma: impasti densi, increspature, colature che non sono “sporco” ma metodo. L’Informale, per Moreni, non è una liberazione romantica: è ingegneria dell’energia.
Il percorso si chiude con i Cartelli, apparenti “avvisi al pubblico” in cui l’artista traduce in pittura il proprio allarme per l’industrializzazione, per la nuova tecnica che uniforma, per un paesaggio mentale che sta cambiando pelle. I Cartelli non spiegano: interrompono. Sono segnali stradali messi dentro una coscienza.

Capitolo 2. Forlì – Le “Angurie”: natura come esperimento

Alle Angurie è dedicata una mostra autonoma. Sono tele che hanno scandalizzato i benpensanti per la loro ostinazione “monomaniaca”. In realtà, Moreni usa il frutto come laboratorio di materia: membrana, polpa, luce intrappolata nella fibra, spaccature. L’anguria non è natura morta; è corpo. Quando il rosso si satura e i verdi virano al ferroso, la pittura smette di “raffigurare” e comincia a pensare. È così che l’oggetto diventa clima, l’alimento diventa paesaggio interiore.
Chi guarda bene riconosce il sottotesto polemico: l’abbondanza che si fa spreco, il consumo che diventa rituale ottuso. Moreni non amministra simboli; li sventra.

Capitolo 3. Santa Sofia – Autoritratti: il volto come campo di battaglia

Santa Sofia affronta la cartella più spietata: gli Autoritratti. Moreni si guarda come si analizza una frattura: non cerca somiglianza, cerca evidenza. La sua faccia è un profilo geologico: strati, fenditure, croste; il colore è un referto. In questa radiografia del sé, la pittura diventa etica della responsabilità: non c’è psico-dramma né vanità, ma un test di verità. Il risultato è un autoritratto civile, non intimista.
Qui il discorso tocca la politica senza proclami: l’artista rivendica il dovere di non indietreggiare di fronte al reale. Oggi che la comunicazione liscia i contorni, questi volti scorticati sono il contro-canto necessario.

Capitolo 4. Ravenna – “Regressione della specie” e “Umanoide”: il romanzo nero del futuro

A Ravenna entrano in scena i cicli tardivi. Titoli come Regressione della specie o Umanoide non evocano fantascienza, ma una cronaca morale. Moreni dipinge un’umanità che ha accelerato oltre la propria misura: figure mutate, addensate, quasi fossili del domani. L’immaginazione non è evasione ma diagnosi: la tecnica – quella che aveva già denunciato nei Cartelli – ha colonizzato la carne.
Non c’è apocalisse spettacolare: c’è un sottile veleno nel colore, un’aria sospesa, un attrito delle superfici che rende fisico il disagio. Qui la sua pittura è politica nel senso più alto: interroga la responsabilità collettiva, la retorica della crescita, la debolezza delle istituzioni davanti ai processi che esse stesse attivano.

Capitolo 5. Bologna – Memoria e sistema: una storia che continua

Bologna chiude il percorso con un ritorno critico: il ricordo della grande antologica del 1965 curata da Francesco Arcangeli. Non è un finale nostalgico; è un modo per mostrare come le categorie con cui si è letto Moreni (energia, terra, materia, “ultimo naturalismo”) reggano ancora oggi, purché siano aggiornate con la lezione delle scienze della materia e con la filosofia della tecnica. L’operazione non canonizza: rimette in moto.


Perché questo ciclo è importante (oggi)

Per tre motivi.

  1. Metodo: cinque sedi, cinque fuochi. Non il “tutto e subito” da blockbuster, ma una lettura analitica che rispetta l’ordine interno dell’opera.

  2. Politica culturale: un progetto di rete che redistribuisce pubblico e competenze, costruendo un’economia culturale non centralistica. In tempi di slogan, è un atto di orgoglio territoriale ben inteso: si fa sistema senza tradire l’arte.

  3. Attualità: Moreni parla del presente. Delle ecologie ferite, della tecnologia senza freni, della rabbia sociale che monta e si scarica in consumi compulsivi. La sua pittura non offre soluzioni, ma strumenti cognitivi. E il museo, qui, torna ad essere un luogo di pensiero.


Connoisseurship: cosa guarda davvero uno stimatore su Moreni

Chi acquista Moreni – o opere coeve dell’Informale italiano – deve pretendere rigore. In perizia valuto:

  • Supporti: tele commerciali d’epoca, chiodature e telai, eventuali telature successive; sui cartoni, qualità degli impasti e bordi vivi.

  • Materia: impasti a olio additivati (oli siccativi, resine), acrilici/vernici negli anni Sessanta–Settanta; presenza di colature attive, graffiature, raschiature, riprese a secco.

  • Processo: fotografie d’atelier, mostre storiche, cataloghi ragionati, passaggi in galleria documentati; attenzione a opere “fuori narrazione” rispetto ai cicli noti.

  • Stato di conservazione: craquelure coerenti, stuccature minime, patine non artificiose; diffidare di puliture eccessive che “plastificano” la superficie.
    Sono dettagli che incidono non solo sull’autenticità, ma sul valore: un’opera con provenienza solida e documentazione tecnica chiara ha una tenuta di mercato incomparabile rispetto a pezzi vaghi o “ricostruiti”.


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Offro analisi tecnica, verifica di provenienze e stima di mercato aggiornata per dipinti, carte e sculture riconducibili a questi nuclei.

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